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Malattie e Trattamenti
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Artrite Psoriasica
(scheda curata dallo staff Reumatologia IOR)
L’artrite psoriasica (AP) è una malattia infiammatoria cronica delle articolazioni (caratterizzate da dolore, gonfiore, calore, rigidità articolare e a volte arrossamento) associata alla presenza di psoriasi cutanea o alla familiarità per psoriasi, descritta per la prima volta nel 1818 da un medico francese, Jean Lous Alibert. La malattia colpisce in percentuale lievemente superiore il sesso maschile e la maggior parte dei pazienti manifesta la malattia fra i 30 e 50 anni (circa lo 0.2% della popolazione ovvero 2000 casi nell’area metropolitana di Bologna).
Nella maggioranza dei casi (75%) la psoriasi precede la comparsa di artrite; più rara è l’insorgenza contemporanea del coinvolgimento articolare e cutaneo (15%) mentre ancora meno frequente è la comparsa dell’artrite prima della psoriasi (10%). In un piccolo sottogruppo di pazienti l’AP può essere diagnosticata anche in assenza di psoriasi (AP sine psoriasi). Fra la manifestazione clinica e quella articolare non ci sono correlazioni: l’artrite può comparire o peggiorare quando la psoriasi migliora ma può accadere il contrario.
Cos’è la psoriasi?
La psoriasi è una malattia infiammatoria della pelle, solitamente cronica, non infettiva. Le manifestazioni più comuni sono rappresentate da chiazze arrossate ben delimitate ricoperte da desquamazioni color argento o opalescenti. Le lesioni sono di varie dimensioni e la severità può variare da pochi punti di desquamazione di tipo forforoso a forme più estese con esfoliazioni ed eruzioni più importanti. Il prurito non è sempre presente. Le sedi cutanee più interessate sono: gomiti, ginocchia, cuoio capelluto, regione lombare; meno frequentemente può manifestarsi nelle superifici di flessione, sui genitali, sulla pianta dei piedi e il palmo delle mani. Possono essere coinvolte anche le unghie delle mani e dei piedi che appaiono ispessite, giallastre e di consistenza friabile, con irregolarità della superficie.
Qual è la causa dell’artrite psoriasica?
Sebbene finora non sia ben nota la causa dell’AP, si ritiene che in soggetti geneticamente predisposti, sotto l’influenza di fattori scatenanti (traumi fisici, infezioni, stress, etc.), il sistema immunitario che normalmente difende l’organismo dall’aggressione di agenti esterni, possa attaccare le articolazioni e la pelle.
Quali sono le manifestazioni articolari dell’artrite psoriasica?
L’artrite può svilupparsi lentamente con sintomi lievi oppure rapidamente ed in forma severa. Generalmente, il paziente manifesta uno dei seguenti sintomi e/o segni:
rigidità (specialmente al mattino);
dolore e gonfiore in una o più articolazioni delle mani, dei piedi oppure gomiti, ginocchia e caviglie, di solito a carattere asimmetrico;
riduzione dell’ampiezza dei movimenti;
alterazioni delle unghie (per esempio: separazione dell’unghia dal letto ungueale, a tratti infossata da mimare un’infezione fungina).
Tendiniti e borsiti (infiammazione dei tendini e delle borse – strutture contenenti fluido situtate tra i tendini e l’osso o adiacenti l’articolazione con funzione di cuscinetto e lubrificazione) possono essere segni distintivi.
Manifestazioni più caratteristiche di questa malattia rispetto alle altre artropatie, come ad esempio l’artrite reumatoide, sono: la dattilite (il cosiddetto dito a “salsicciotto”, che si manifesta con gonfiore omogeneo di un dito della mano o del piede per infiammazione dei tendini e delle articolazioni del dito interessato) e l’entesite (infiammazione del sito di inserzione dei tendini e dei legamenti sull'osso, la localizzazione più frequente è a carico dell’inserzione del tendine di Achille, posteriormente alla caviglia).
Altri pazienti possono riferire episodi di lombalgia che può indicare la presenza di infiammazione delle articolazioni sacroiliache (articolazioni posteriori del bacino).
Come si fa diagnosi di artrite psoriasica?
Non ci sono esami specifici e la diagnosi si pone essenzialmente in base al quadro clinico (segni di infiammazione a carico delle articolazioni o dei tendini, presenza di psoriasi cutanea, psoriasi delle unghie) e la storia clinica (storia di psoriasi nei familiari di I grado). È importante comunicare al proprio medico l’eventuale presenza di psoriasi cutanea.
Gli esami di laboratorio non sono specifici e sebbene l’AP a volte si associ ad anemia e aumentati valori degli indici di infiammazione (VES, proteina C reattiva) e dell’acido urico (in base alla presenza e gravità della psoriasi cutanea), tali alterazioni sono presenti anche in altre malattie reumatiche, come la gotta, e tra l’altro non è raro osservare dei casi di AP con normalità di tali valori.
Nei pazienti con diagnosi dubbia, l’artrocentesi (prelievo del liquido presente nella cavità articolare) per l’analisi del liquido sinoviale può essere dirimente. Distinguere una forma di artrite gottosa da una forma di artrite psoriasica è importante poiché diversa è la terapia. Una caratteristica dell’AP è l’assenza di anticorpi, spesso associati all’artrite reumatoide.
Dal punto di vista degli esami strumentali, nelle primissime fasi della malattia la radiografia convenzionale non è utile per la diagnosi poichè le alterazioni caratteristiche della malattia (fenomeni di riassorbimento e proliferazione dell’osso) compaiono dopo mesi o anni dall’insorgenza dei sintomi.
L’ecografia articolare è un esame utile sia nelle prime fasi che in quelle successive, poiché ha una maggiore sensibilità rispetto alla radiografia nel rilevare segni di infiammazione nelle diverse strutture dell’articolazione (versamento nello spazio articolare, studio della membrana sinoviale, etc..).
Utile la risonanza magnetica del bacino per lo studio delle articolazioni sacroiliache, responsabili della lombalgia.
Qual è la terapia dell’artrite psoriasica?
Una diagnosi e trattamento dell’AP possono aiutare a prevenire o limitare il danno articolare che compare negli stadi avanzati della malattia. La terapia è consigliata dal medico in base alla storia clinica del paziente, alla severità del coinvolgimento articolare e alla tollerabilità ai diversi tipi di farmaci. Obiettivi della terapia sono quelli di alleviare il dolore, ridurre il gonfiore, prevenire il danno articolare.
In prima istanza vengono consigliati cicli di terapia con farmaci anti-infiammatori non steroidei (FANS) o inibitori della ciclossigenasi 2 (COX-2 inibitori); essi non curano la malattia ma sono efficaci nel controllare il dolore e la rigidità articolare; agiscono rapidamente ed il loro effetto si esaurisce dopo alcune ore o comunque nell’arco della giornata, per cui il paziente dovrebbe assumerli in maniera continuativa. FANS e COX-2 inibitori devono essere prescritti dal medico che valuterà sia l’eventuale interazione con altri farmaci assunti dal paziente, sia possibili effetti collaterali (ipertensione arteriosa, disturbi digestivi, diarrea, riduzione della diuresi). In caso di mancanza o perdita di efficacia oppure per peggioramento della severità della malattia, è necessario sospenderli ed iniziare l’uso dei farmaci di fondo, così chiamati perché agiscono anche sul gonfiore e sul danno articolare modificando il decorso della malattia (in inglese sono definiti con l’acronimo DMARDs).
Tali farmaci, a differenza dei FANS, non agiscono rapidamente e prima che si manifesti il loro effetto necessitano di diverse settimane. Quelli più comunemente usati sono: la sulfasalazina, la ciclosporina (efficace sia sull’artrite che sulla psoriasi cutanea), il metotrexate e la leflunomide; gli antimalarici (clorochina, idrossiclorochina) somministrati con cautela per il possibile peggioramento della psoriasi cutanea. Recentemente l’Agenzia Europea dei Medicinali (European Medicines Agency – EMA) ha autorizzato l’immissione in commercio di un nuovo farmaco per via orale per l’artrite psoriasica (apremilast: Otezla), non ancora autorizzato dall’AIFA in Italia, che può essere prescritto al fallimento di un farmaco DMARDs.
L’uso dei corticosteroidi è limitato nelle forme aggressive, in primo luogo per via intra-articolare (iniettando il farmaco all’interno dell’articolazione infiammata) che per via sistemica (per bocca, intra-muscolo o endovena).
Al fallimento dei DMARDs o in presenza di determinate condizioni cliniche attualmente possono essere utilizzati i farmaci biotecnologici dove il termine “biotecnologico” si riferisce alla modalità con cui sono prodotti: essi sono potenti immunosoppressori vengono utilizzati nei pazienti che non hanno avuto beneficio dalle terapie con i farmaci precedentemente elencati. Un loro uso tempestivo, tuttavia, sembrerebbe bloccare l’evoluzione della malattia limitando i danni delle articolazioni. Prima di iniziare il trattamento con i farmaci biologici è importante escludere la presenza di malattie infettive latenti o pregresse, come la tubercolosi o le infezioni da virus dell’epatite o HIV, o neoplasie. I farmaci biotecnologici approvati per il trattamento dell’artrite psoriasica sono: infliximab (Remicade), l’adalimumab (Humira), etanercept (Enbrel), golimumab (Simponi), certolizumab (Cimzia). È stato già autorizzato da AIFA un altro anticorpo monoclonale per il trattamento dell’artrite psoriasica, l’ustekinumab (Stelara) ma in Regione Emilia Romagna siamo in attesa di autorizzazione; approvato dall’EMEA ma non ancora in Italia da AIFA la commercializzazione di secukinumab (Cosentyx).
Da poco tempo è stato approvato anche l’uso dei farmaci biosimilari, medicinali biologici autorizzati dall’Agenzia Europea dei Medicinali (European Medicines Agency – EMA) simili per qualità, efficacia e sicurezza al prodotto biologico di riferimento. La disponibilità dei prodotti biosimilari rappresenta un fattore importante per il mantenimento della sostenibilità economica del servizio sanitario nazionale.
Altri trattamenti possono essere:
UVB PUVA
immobilizzazione con ortesi
attività fisica, riabilitazione
terapia fisica (per migliorare e mantenere la funzionalità articolare e muscolare)
terapia occupazionale (per migliorare l’abilità ad eseguire le comuni attività quotidiane)
gestione dermatologica della psoriasi cutanea, se presente
valutazione chirurgica (per riparare o sostituire le articolazioni danneggiate; se giustificato, questo solitamente avviente anni dopo la diagnosi).
Autori: staff della Struttura Semplice Dipartimentale di Medicina e Reumatologia, Istituto Ortopedico Rizzoli.
Scheda informativa revisionata il: 29 Maggio 2017.
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Artrite Reumatoide
(scheda curata dallo staff Reumatologia IOR)
Cos’è l’Artrite Reumatoide?
L’artrite reumatoide è una malattia cronica che provoca dolore, tumefazione e rigidità articolare con limitazione del range del movimento e della funzione delle articolazioni interessate. Sebbene l’articolazione sia la parte dell’organismo più coinvolta, l’infiammazione può svilupparsi anche in organi interni (come polmoni, reni, cuore, sistema nervoso, vasi sanguigni, occhi).
La rigidità osservata quando la malattia è in fase attiva è più intensa la mattina al risveglio e può durare da una a più ore estendendosi, nei casi più severi, all’intera giornata. La durata della rigidità è molto importante perché differenzia l’artrite reumatoide da altre artropatie, come ad esempio, l’osteoartrosi in cui la rigidità mattutina è di circa 10-20 minuti.
Le articolazioni più frequentemente coinvolte sono quelle piccole delle dita delle mani, i polsi, i piedi, le ginocchia e le caviglie; più raro è il coinvolgimento di anche, spalle, gomiti e rachide. L’interessamento abitualmente è di solito simmetrico: se è coinvolto il polso destro spesso è colpito anche il polso sinistro.
Il paziente, inoltre, può riferire dei sintomi noti come “extra-articolari” e che possono essere indicativi di un coinvolgimento sistemico della malattia; fra questi ci sono: stanchezza, malessere generale, perdita di peso, indolenzimento muscolare (mialgie), febbre, secchezza degli occhi e della bocca (condizione nota come sindrome di Sjogren secondaria all’artrite reumatoide), riscontro di anemia, infiammazione dei tendini, presenza di piccole nodosità dolenti note come “noduli reumatoidi” che compaiono comunemente sotto la cute dei gomiti e degli avambracci.
Qual è la causa dell’Artrite Reumatoide?
Sebbene la causa della malattia sia ancora ignota, i dati delle più recenti ricerche in campo scientifico evidenziano alcuni fattori che sono importanti nell’attivazione e nel mantenimento dell’infiammazione. L’organo bersaglio principale dell’infiammazione è la membrana sinoviale, costituita da cellule che rivestono l’articolazione: tale membrana produce liquido sinoviale necessario per la lubrificazione e il nutrimento della cartilagine articolare. Le sostanze ad azione pro-infiammatoria rilasciate dalle cellule immunitarie determinano il gonfiore e il successivo danno della cartilagine e dell’osso presenti all’interno dell’articolazione.
Chi può essere affetto da Artrite Reumatoide?
L’artrite reumatoide è la forma più comune di artrite infiammatoria che interessa circa lo 0.5% della popolazione adulta, circa 4000 pazienti nell’area metropolitana di Bologna. È più frequente nei soggetti di sesso femminile tra la quarta e la sesta decade di vita, comunque può interessare qualsiasi fascia di età.
Qual è l’esordio e la progressione della malattia?
In molti casi i sintomi compaiono gradualmente (nel corso di settimane o mesi); di solito il paziente avverte al mattino una rigidità nei movimenti delle mani, o comunque delle articolazioni interessate, che migliora nel corso della giornata. Questo disturbo inizialmente può essere periodico per poi diventare persistente e associarsi a dolore e gonfiore delle articolazioni. La maggior parte dei pazienti con artrite reumatoide presenta dei periodi acuti alternati a periodi di relativo benessere; la disabilità che ne deriva è secondaria al danno articolare che si sviluppa nel tempo e che è secondario all’infiammazione.
Come viene diagnosticata l’Artrite Reumatoide?
L’artrite reumatoide può essere difficile da diagnosticare all’esordio poiché può iniziare gradualmente con scarsi sintomi e diverse malattie, specialmente all’esordio, possono avere un comportamento simile. Per questo motivo i pazienti con sospetto di artrite reumatoide dovrebbero essere valutati da un reumatologo per la conferma diagnostica e per la somministrazione di una corretta terapia.
La diagnosi di artrite reumatoide si pone in base ai sintomi riferiti dal paziente e ai segni osservati durante la visita medica, come ad esempio il calore, la tumefazione e la dolorabilità articolare. Gli esami di laboratorio a volte possono essere di aiuto per la conferma diagnostica (presenza di anemia, positività del fattore reumatoide - un anticorpo riscontrato nell’80% dei pazienti con artrite reumatoide, o degli anticorpi anti-citrullina (anti-CCP) che hanno una specificità del 98% per l’artrite reumatoide; aumento della velocità di eritrosedimentazione – VES, e/o della proteina C reattiva.
La radiografia può essere molto utile nella diagnosi ma non evidenzia alcuna anomalia nelle prime fasi della malattia (3-6 mesi). Sempre più rilevante appare, invece, l’uso dell’ecografia articolare, molto più sensibile rispetto alla radiografia tradizionale (soprattutto nella fase iniziale) e più economica rispetto alla risonanza magnetica, nel documentare l’ipertrofia della membrana sinoviale e l’intensità dell’infiammazione articolare e peri-articolare.
È importante ricordare che per la maggior parte dei pazienti (specialmente coloro che presentano i sintomi da meno di 6 mesi) non esiste un test specifico che confermi la diagnosi di artrite reumatoide ma la diagnosi si pone attraverso una valutazione specialistica dei sintomi e soprattutto dei segni clinici.
Qual è la terapia dell’Artrite Reumatoide?
La terapia dell’artrite reumatoide è migliorata enormemente negli ultimi 25 anni offrendo ai pazienti un soddisfacente controllo dei sintomi e la possibilità di conservare i normali ritmi della routine quotidiana (attività lavorativa, faccende domestiche, hobbies, etc…).
Dal momento che non esiste una cura definitiva, obiettivo dei trattamenti è quello di ridurre i sintomi del paziente e migliorare la disabilità attraverso una terapia medica appropriata e iniziata il più rapidamente possibile, prima che le articolazioni interessate dall’infiammazione vengano danneggiate in modo permanente.
Non esiste un singolo farmaco efficace per tutti i pazienti e spesso molti di essi devono ricorrere a diverse modifiche terapeutiche nel corso della loro malattia. Il trattamento ideale richiede una diagnosi precoce, quando la malattia è in fase iniziale (< 6 mesi), ed un trattamento aggressivo. Per ridurre rapidamente l’infiammazione articolare e l’intensità dei sintomi la terapia di prima linea si avvale dei farmaci antinfiammatori non steroidei (cosiddetti FANS), come ibuprofene, naprossene, diclofenac, ketoprofene e i più recenti COX2-inibitori (celecoxib, etoricoxib). Inoltre, i corticosteroidi come il prednisone possono essere somministrati per bocca o per via intrarticolare.
Tuttavia, i pazienti con tumefazione articolare persistente non rispondono alla sola terapia con FANS e corticosteroidi, per cui solitamente iniziano il trattamento con i farmaci anti-reumatici modificanti il decorso della malattia (i cosiddetti DMARDs). Questi farmaci migliorano notevolmente i sintomi, la funzionalità articolare e la qualità di vita della maggior parte dei pazienti con artrite reumatoide.
I DMARDs utilizzati sono: il metotrexate (Methotrexate, Reumaflex), la leflunomide (Arava), gli antimalarici (Plaquenil, Clorochina), ciclosporina (Sandimmun), la sulfasalazina (Salazopyrin En). Negli ultimi anni il trattamento delle artropatie infiammatorie si avvale dell’uso di farmaci, noti come modificatori della risposta biologica o “agenti biotecnologici”, che agiscono specificatamente su alcune molecole prodotte da cellule del sistema immunitario e che determinano l’infiammazione e il danno articolare e degli organi eventualmente coinvolti.
Questi farmaci rallentano la progressione della malattia e vengono somministrati al fallimento delle terapie convenzionali. I trattamenti approvati dalle più importanti agenzie del farmaco sono: infliximab (Remicade), l’adalimumab (Humira), etanercept (Enbrel), anakinra (Kineret), abatacept (Orencia), rituximab (Mabthera), tocilizumab (Ro-Actemra), golimumab (Simponi), certolizumab (Cimzia). Da poco tempo è stato approvato anche l’uso dei farmaci biosimilari, medicinali biologici autorizzati dall’Agenzia Europea dei Medicinali (European Medicines Agency – EMA) simili per qualità, efficacia e sicurezza al prodotto biologico di riferimento. La disponibilità dei prodotti biosimilari rappresenta un fattore importante per il mantenimento della sostenibilità economica del servizio sanitario nazionale. In alcuni casi questi farmaci sono somministrati da soli, cioè senza associazione con altri farmaci immunosoppressori, ma nella maggior parte dei casi, per una maggior efficacia, sono somministrati contemporaneamente al metotrexate. Prima di iniziare il trattamento con i farmaci biologici è importante escludere la presenza di malattie infettive latenti o pregresse, come la tubercolosi o le infezioni da virus dell’epatite o HIV, o neoplasie.
Il trattamento ideale richiede, comunque, un approccio multispecialistico con la collaborazione tra medici reumatologi, medici di medicina generale, ortopedici, fisiatri (sia per la terapia fisica che occupazionale), psicologi.
Autori: staff della Struttura Semplice Dipartimentale di Medicina e Reumatologia, Istituto Ortopedico Rizzoli.
Scheda informativa revisionata il: 25 Maggio 2017.
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Osteoartrosi della mano
(scheda curata dallo staff Reumatologia IOR)
L’osteoartrosi (OA) della mano è una malattia progressiva caratterizzata da dolore e disabilità con conseguente limitazioni nello svolgimento delle comuni attività quotidiane e lavorative che coinvolgono i movimenti fini delle mani. L’inizio della patologia non è databile fino alla comparsa dei segni clinici. Alterazioni biomeccaniche, predisposizione genetica e processi di invecchiamento articolare determinano una perdita del fisiologico equilibrio tra fenomeni degenerativi e fenomeni riparativi a livello della cartilagine articolare.
Tuttavia, negli ultimi anni è stato dimostrato il ruolo di un processo infiammatorio nella patogenesi dell’osteoartrosi che porta alla liberazione di sostanze in grado di indurre dei danni irreversibili con fibrillazione e ulcerazioni della cartilagine articolare e con il progredire della malattia vi è un coinvolgimento delle altre strutture articolari. Ciò si riflette clinicamente con la comparsa di rigidità articolare, gonfiore dei capi ossei e dolore in alcune tipiche articolazioni della mano, deformità e disabilità. Per rallentare la progressione naturale della malattia sarebbe necessario un riconoscimento delle sue fasi più precoci, quando il danno cartilagineo è nelle sue fasi più iniziali e l’osteoartrosi è ancora clinicamente asintomatica. In tale ottica, presso il nostro centro è in corso di attivazione uno studio per l’individuazione attraverso il dosaggio di biomarcatori solubili e l’uso di tecniche di imaging di alterazioni precoci in pazienti di età ≤ 50 anni con sintomi di osteoartrosi delle mani (in una fascia di età, quindi, più precoce rispetto alle casistiche valutate ad oggi) e in soggetti completamente asintomatici, figli/e di pazienti con osteoartrosi della mano e quindi con forte predisposizione alla malattia. Al termine del suddetto studio, verrà disegnato un trial clinico randomizzato controllato con placebo di tipo terapeutico.
L’obiettivo della terapia attualmente è quello di migliorare la funzionalità e la qualità della vita controllando il sintomo principale rappresentato dal dolore che peggiora con il movimento e regredisce a riposo (esattamente l’opposto rispetto a quanto avviene in corso di artrite) e viene trattato in primis con l’uso del paracetamolo e in caso di inefficacia al dosaggio adeguato, come farmaco antidolorifico, si passa ai farmaci oppiacei. Trovano indicazione anche brevi cicli di terapia con FANS che danno un sollievo immediato, mentre non vi è indicazione per i glucocorticoidi per via sistemica, per via intra- o peri-articolare possono associarsi a un notevole miglioramento della sintomatologia per settimane o mesi. È stata dimostrata, inoltre, l’efficacia delle iniezioni intra-articolari di acido ialuronico. A scopo preventivo viene consigliato anche l’uso ciclico dei farmaci sintomatici a lenta azione per l'osteoartrosi (SYSADOA: symptomatic slow-acting drugs for osteoarthritis) che per agire richiedono parecchie settimane e hanno un residuo effetto dopo l’interruzione del trattamento, i cosiddetti condroprotettori (integratori per il trofismo della cartilagine a base di glucosammina, condroitin solfato, acido ialuronico). I farmaci, tuttavia, sono solo dei sintomatici pertanto devono essere associati alla terapia non-farmacologica come la rieducazione del paziente a un uso corretto delle articolazioni, le cure termali, calo ponderale in caso di sovrappeso, eventuale uso di ortesi.
Autori: staff della Struttura Semplice Dipartimentale di Medicina e Reumatologia, Istituto Ortopedico Rizzoli.
Scheda informativa revisionata il: 25 Maggio 2017.
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Polimialgia reumatica
(scheda curata dallo staff Reumatologia IOR)
La Polimialgia Reumatica (PMR) è una malattia infiammatoria che compare soprattutto dopo i 50-60 anni ed è caratterizzata da dolore muscolare e rigidità delle spalle, del collo e a volte delle anche, con sensazione di debolezza muscolare e importante limitazione dei movimenti che coinvolgono tali articolazioni, come quelli eseguiti per pettinarsi, vestirsi, alzarsi da una sedia o dal letto. Una minoranza di pazienti può presentare dolore e gonfiore ad un’articolazione periferica, come mani, piedi, ginocchia, etc. La sintomatologia è più spiccata al mattino al risveglio e durante la notte. A volte si associano a febbre, dimagramento, stanchezza, inappetenza, depressione.
La diagnosi si pone visitando il paziente, raccogliendo le informazioni relative alla storia clinica e documentando agli esami di laboratorio un aumento degli indici di infiammazione (velocità di eritrosedimentazione, VES; proteina C reattiva, PCR); a volte è presente anemia, che si riduce con la guarigione dalla malattia poiché è secondaria al processo infiammatorio. Gli esami strumentali non sono specifici ma possono confermare il sospetto diagnostico: per esempio un’ecografia delle spalle può evidenziare i segni di infiammazione in queste articolazioni.
La terapia d’elezione della polimialgia sono i corticosteroidi (cortisone) che di solito vengono assunti per alcuni mesi; tuttavia una cospicua percentuale di pazienti necessita della terapia per lunghi periodi di tempo (a volte con periodi di interruzione), anche di anni, poiché la malattia può andare incontro a riacutizzazioni. Nei pazienti che a causa della presenza di altre malattie o di effetti collaterali o di inefficacia non possono fare uso di cortisone, possono essere utilizzati dei farmaci immunosoppressori, come il metotrexate.
In alcuni casi la polimialgia può associarsi o essere complicata da un’infiammazione dei vasi sanguigni più frequentemente di quelli localizzati in corrispondenza delle tempie (arterie temporali) dando un quadro clinico definito come “arterite temporale”. Il sospetto si pone quando il paziente riferisce un’improvvisa comparsa o il peggioramento (se preesistente) di una cefalea della regione temporale, associata o meno a senso di pulsazione dei vasi. Altri sintomi possono essere un’improvvisa comparsa o peggioramento di disturbi della vista, debolezza dei muscoli del volto durante la masticazione. In questi casi il paziente deve rivolgersi a un medico (il Reumatologo o in sua assenza il Medico di Medicina Generale o al Pronto Soccorso) per poter iniziare la terapia il più rapidamente possibile.
Autori: staff della Struttura Semplice Dipartimentale di Medicina e Reumatologia, Istituto Ortopedico Rizzoli.
Scheda informativa revisionata il: 29 Giugno 2017.
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Spondilite anchilosante
(scheda curata dallo staff Reumatologia IOR)
La spondilite anchilosante (SA) è una malattia infiammatoria cronica che colpisce lo scheletro assiale (colonna lombare, dorsale e cervicale; bacino), soprattutto in corrispondenza dell’inserzione di tendini e legamenti, determinando una diffusa rigidità. Ha una prevalenza di circa lo 0.1%, quindi circa 1.000 pazienti nell’area metropolitana di Bologna. Interessa maggiormente il sesso maschile, soprattutto in giovane età (15-35 anni).
Si ipotizza che la malattia compaia a seguito dell’intervento di un fattore ambientale (ad esempio, infezioni, stress psico-fisici, etc.) in un individuo geneticamente predisposto. Infatti, oltre il 90% dei pazienti presenta l’allele HLA B27 (fermo restando che la presenza di questo gene è presente in circa l’8% dei soggetti caucasici e non si richiede di solito fra gli esami di primo livello).
I sintomi sono rappresentati inizialmente da dolore nella regione lombo-sacrale associato a rigidità mattutina e miglioramento con l’esercizio fisico. A volte la sintomatologia è simile a un episodio di lombalgia o di sciatica mozza (dolore irradiato alla coscia, fino al ginocchio). Il dolore e la rigidità sono dovuti al coinvolgimento di alcune articolazioni del bacino (sacroileite) e di altre strutture localizzate nella regione della colonna, come legamenti, tendini e articolazioni. Nella fase iniziale della malattia la rigidità può essere almeno in parte recuperabile, mentre successivamente si assiste ad un processo di anchilosi dei corpi vertebrali secondario alla proliferazione ossea (tentativo di riparazione nelle sedi colpite dall’infiammazione).
In alcuni casi la malattia può coinvolgere organi interni (le cosiddette manifestazioni extra-articolari), come gli occhi, il cuore e i polmoni.
La diagnosi di spondilite anchilosante si pone in base alla visita specialistica, alla storia clinica e agli aspetti radiologici evidenziati alla radiografia standard, all’ecografia e alla risonanza magnetica dei segmenti articolari interessati. Gli esami di laboratorio non sono specifici.
La terapia si avvale di misure non farmacologiche (come la rieducazione posturale globale e localizzata) e farmacologiche, come gli antinfiammatori, che possono essere utilizzati per periodi prolungati, gli analgesici. Gli immunosoppressori (DMARDs, vedi capitolo artrite psoriasica) possono avere dei benefici quando è presente un coinvolgimento delle articolazioni periferiche, come ginocchia, caviglie, piedi. Al fallimento dei DMARDs o in presenza di determinate condizioni cliniche possono essere utilizzati i farmaci biotecnologici dove il termine “biotecnologico” si riferisce alla modalità con cui sono prodotti: essi sono potenti immunosoppressori che vengono utilizzati nei pazienti che non hanno avuto beneficio dalle terapie con i farmaci precedentemente elencati. Un loro uso tempestivo, tuttavia, sembrerebbe bloccare l’evoluzione della malattia limitando i danni delle articolazioni.
Prima di iniziare il trattamento con i farmaci biologici è importante escludere la presenza di malattie infettive latenti o pregresse, come la tubercolosi o le infezioni da virus dell’epatite o HIV, o neoplasie. I farmaci biotecnologici approvati per il trattamento della spondilite anchilosante sono: infliximab (Remicade), l’adalimumab (Humira), etanercept (Enbrel), golimumab (Simponi), certolizumab (Cimzia). È stato approvata dall’EMEA ma non ancora in Italia da AIFA la commercializzazione di secukinumab (Cosentyx).
Da poco tempo è stato approvato anche l’uso dei farmaci biosimilari, medicinali biologici autorizzati dall’Agenzia Europea dei Medicinali (European Medicines Agency – EMA) simili per qualità, efficacia e sicurezza al prodotto biologico di riferimento. La disponibilità dei prodotti biosimilari rappresenta un fattore importante per il mantenimento della sostenibilità economica del servizio sanitario nazionale.
Autori: staff della Struttura Semplice Dipartimentale di Medicina e Reumatologia, Istituto Ortopedico Rizzoli.
Scheda informativa revisionata il: 29 Giugno 2017.
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